«Ritengo un dovere per un imprenditore darsi anche delle responsabilità nei confronti del sistema- Paese, e noi Benetton siamo pronti a fare la nostra parte: ma per favore, e questo l'ho detto anche a Berlusconi e Tremonti, non considerateci come una nuova Iri».
Riflessivo sul riassetto bancario italiano («non sono sicuro che le grandi fusioni nel credito non abbiano indebolito il legame tra banche, imprese e territorio»), preoccupato per la recessione e per la crisi delle Borse, fiducioso sugli impegni del Governo in tema di investimenti e politica industriale («Questo è il governo del fare: e Giulio Tremonti è un ministro eccellente, capace di dialogare in modo costruttivo con gli imprenditori »),ma leggermente infastidito dal sentirsi tirare per la giacchetta nel controverso dossier Alitalia: Gilberto Benetton, classe 1941, sposato con due figlie, ha deciso di rompere il silenzio prima delle vacanze sulle grandi partite in cui è coinvolta la famiglia di Ponzano Veneto. Da Telecom Italia a Rcs («non abbiamo mai chie-sto di entrare nel patto »),da Mediobanca a Generali, da Autostrade ad Aeroporti di Roma fino all'Alitalia,i Benetton sembrano essere diventati il puntello della finanza e dell'industria italiana, l'asse portante del sistema infrastrutturale e dei trasporti di un Paese che non avendo fondi sovrani, è costretto ancora a chiedere aiuto alle "famiglie sovrane"del capitalismo italiano.Loro non rifiutano il ruolo,ma chiedono solo un po' di rispetto di più: le offese subite nella mancata fusione Autostrade-Abertis hanno evidentemente lasciato il segno e ora i Benetton vogliono essere «chiamati, non strattonati - spiega Gilberto benvoluti e rispettati: solo a queste condizioni siamo pronti a dare il nostro contributo».
Da parte loro, i Benetton hanno fatto passi importanti per rendere più trasparente ed efficiente la struttura del gruppo, affidando al professor Piergaetano Marchetti e ad Angelo Casò il compito di ridefinire l'assetto dell'impero e la governance societaria.
Allora dottor Benetton, oltre che una holding di famiglia Edizione sembra ormai un fondo sovrano...vogliono persino farvi entrare in Alitalia
Crediamo nel Paese e per questo abbiamo investito in Italia e in aziende italiane, ma la nostra è una famiglia di imprenditori e quindi non possiamo non tenere conto della logica economica dei nostri investimenti: certo, ci sono situazioni come Telecom Italia in cui stiamo sopportando perdite ingenti, ma questo non significa che ci resteremo in eterno. E soprattutto, non significa che i Benetton siano disponibili a partecipare al buio a una cordata per il salvataggio di Alitalia.
Che cosa vuole dire? Che uscirete da Telecom?
Cominciamo da Telecom Italia. Da quando siamo entrati in Olimpia con Pirelli abbiamo sopportato perdite enormi, ma siamo rimastia fianco di Tronchetti Provera fino alla fine e resteremo con lui anche nel patto Pirelli quando sarà rinnovato. Poi, ci è stato chiesto di restare con i nuovi soci in Telco, e lo abbiamo fatto: anche in questo caso, le nostre perdite sono aumentate. Fermo restando che crediamo nel nuovo management, cioè in Franco Bernabè e Gabriele Galateri di Genola, riteniamo che senza una vera scossa industriale la compagnia telefonica non potrà risollevarsi.
Quindi?
Quindi aspettiamo di vedere il nuovo piano industriale che verrà proposto da Bernabè entro fine anno per tirare le conclusioni sul nostro investimento. E se non saremo soddisfatti, usciremo: prima o poi Telecom dovrà fare un aumento di capitale e in quella occasione potremmo decidere di non sottoscriverlo e quindi di diluirci nella compagine azionaria.Vedremo.
Quando si parla di Telecom viene in mente Mediobanca. Che cosa pensa dello scontro in atto sulla governance duale?
Credo che il sistema monistico vada benissimo se ci sono deleghe chiare tra presidente e amministratore delegato: del duale si può anche fare a meno. Detto questo, ritengo che nel caso di Mediobanca - che ha dirigenti di altissima qualità con cui non a caso abbiamo rapporti eccellenti-il cambio di governance debba avvenire senza mettere a rischio la stabilità, cioè in modo concordato con il management.
Adesso parliamo di Alitalia. I maligni sostengono che la vostra disponibilità a partecipare alla cordata di imprenditori italiani del piano-Intesa sia arrivata solo dopo che il Governo ha approvato la nuova convenzione tariffaria per Autostrade: insomma, è un do ut des?
È assolutamente falso. Che sia ben chiaro: non c'è alcun nesso tra il dossier Alitalia e la convenzione di Autostrade. Poi tornerò sul caso Autostrade, ma intanto è bene spiegare a che punto è la questione Alitalia: ci è stato chiesto di partecipare alla cordata italiana e in via di principio riteniamo di poter dare il nostro contributo al rilancio della compagnia di bandiera, ma non abbiamo ancora visto un piano industriale, dei numeri o una proposta concreta da Banca Intesa. Non solo: non è pensabile che il piano abbia successo senza la presenza di un partner internazionale disposto a intervenire subito, non tra un anno o due. Forse, la soluzione migliore sarebbe stata quella di vendere ad Air France. Purtroppo le cose sono andate diversamente. Bisogna ricordare comunque che come gruppo dobbiamo valutare con attenzione il possibile conflitto di interesse,data la partecipazione posseduta in Adr, e che i soci di Sintonia hanno ovviamente diritto di voto, oltre che di veto, sugli investimenti significativi.
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